I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime

Di Sara Gandini, epidemiologa/biostatistica

Su Conflitti, rivista italiana di ricerca, formazione psicopedagogica e gestione dei conflitti, diretta dal pedagogista Daniele Novara

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Noi abbiamo lottato per far riaprire le scuole perché tutte le misure di prevenzione hanno effetti collaterali. Per altro avendo a che fare con un virus altamente infettivo, che si diffonde soprattutto al chiuso e che colpisce pesantemente principalmente gli anziani, chiudere le scuole ha fatto sì che in molte famiglie siano stati proprio i nonni ad aiutare nella cura dei bambini. Queste scelte paradossalmente hanno avuto un effetto perverso e probabilmente hanno contribuito negativamente al bilancio della pandemia.

Bisogna inoltre ricordare che il rischio zero non esiste da nessuna parte, specialmente in una pandemia, e che un approccio di epidemiologia difensiva non permette di pensare al benessere di tutta la società con un orizzonte di lungo periodo.

Infatti se in Italia e nel mondo non ci sono forti evidenze scientifiche che la chiusura delle scuole in presenza abbia giocato un ruolo di contenimento del contagio, non ci sono dubbi che abbia creato un grave disagio psicologico nei giovani e abbia messo in grande difficoltà la società tutta, soprattutto alle donne, nel presente e nel futuro.

La didattica a distanza e il lockdown hanno portato ad un aumento significativo nei giovani di depressione, disturbi alimentari, obesità, comportamenti autolesionisti, fino ai suicidi, persino nei bambini e adolescenti. Sono usciti studi di coorte, su importanti riviste scientifiche, che hanno mostrato un aumento sia della depressione che dei casi di suicidio nei minori, non solo in Asia ma anche in Europa, rispetto a prima della pandemia e in corrispondenza con la riapertura delle scuole.

“I bambini non sono i più colpiti da questa pandemia, ma rischiano di essere le sue più grandi vittime”: così apre il report delle nazioni unite dedicato all’impatto del Covid-19 sui bambini (UN Policy Brief: The Impact of COVID-19 on children, 15 April 2020). Per altro, come era immaginabile, i ragazzi con bisogni educativi speciali sono quelli particolarmente danneggiati dall’interruzione dei servizi educativi.

Sulla base dell’esperienza della didattica online nei Paesi Bassi, un importante studio pubblicato su PNAS ha mostrato che i progressi degli studenti sono stati inferiori di circa un quinto rispetto a quello che avrebbero imparato nel corso di un anno scolastico in presenza dopo una chiusura delle scuole di sole 8 settimane. Ricordiamo che l’Olanda è un paese tecnologicamente avanzato per cui il sistema formativo ha potuto disporre di ottime strumentazioni per la didattica a distanza. Gli autori dello studio mostrano che i risultati sono stati disastrosi: se in media l’apprendimento si è ridotto di circa il 20 per cento, l’impatto è stato ancora più grave per gli alunni provenienti da famiglie con genitori senza istruzione universitaria: per loro, la riduzione dell’apprendimento è stata peggiore di circa il 50 per cento rispetto agli altri.

Il 14 luglio 2021 sono stati pubblicati i risultati delle prove invalsi in cui sono stati coinvolti oltre 2,1 milioni di studenti italiani. La didattica a distanza ha comportato un generale rilevante abbassamento delle competenze in particolare per italiano e matematica. Il confronto degli esiti della scuola primaria del 2019 e del 2021 mostra un quadro sostanzialmente stabile ma la scuola primaria è quella che ha potuto chiudere di meno durante la pandemia. Nelle scuole medie i dati sono molto meno confortanti: nell’anno scolastico 2020-2021 non hanno raggiunto risultati adeguati il 39÷ degli studenti di terza media in italiano ei il 45 per cento in matematica. Naturalmente le perdite maggiori sono state registrate tra gli allievi che provengono da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli. Per le superiori il 44 per cento degli studenti all’ultimo anno non ha raggiunto «risultati adeguati» in italiano e il 51 per cento in matematica, con percentuali quasi doppie tra gli studenti provenienti da un contesto svantaggiato. Al sud Italia per quanto riguarda l’italiano, gli studenti che non raggiungono la soglia minima di competenze in Italiano sono il 64% in Campania e Calabria, il 59% in Puglia, il 57% in Sicilia, il 53% in Sardegna e il 50% in Abruzzo. Mentre per la matematica, il 73% in Campania, il 70% in Sicilia e il 69% in Puglia.

Non andare a scuola ha pesato non soltanto sui giovani ma anche sulle loro famiglie e soprattutto sulle donne. Secondo quanto rileva l’Istat, a dicembre 2020 gli occupati sono diminuiti di 101.000 unità: 99.000 sono donne e appena 2.000 uomini.

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L’articolo completo qui:

https://cppp.it/…/conflitti-la-rivista/Presentazione

18 aprile 2022