CUORE VISIONARIO E METAFORE

di Emanuela Nava, scrittrice

Per la simbologia il cuore non può essere ridotto a sola dimora dei sentimenti. Il cuore è invece la sede della mente superiore, dell’intuito, dell’immaginazione. È l’oro alchemico, è il sole del microcosmo che irradia la luce. È anche il centro vitale, La sede del calore che anima la vita. La conoscenza intuitiva, quella che nasce dal cuore, è quindi infallibile perché immediata.

Così, dove invece la ragione può sbagliare perché riflette, come la luna, una luce non sua, viene in soccorso il cuore visionario, capace di sciogliere le trame che ingarbugliano la nostra vita.

C’è tanta bellezza nel mondo, c’è tanta bellezza nelle storie: c’è tanta bellezza dentro ognuno di noi.

C’è l’oro, ma anche l’argento. L’argento è il migliore conduttore di elettricità e calore fra tutti i metalli. È pesante e prezioso. Può essere lucidato fino a brillare. L’argento suona.

Ma l’argento in natura si trova soprattutto nel piombo. Così come ci insegnano le storie.

Ecco perché, davanti agli eventi dolorosi della vita, l’abbandono, la malattia e la morte, le storie luminose che nascono dall’immaginazione attiva, dall’ascolto interiore, diventano metafore potenti capaci di affrontare i mostri che vivono dentro di noi.

Ma le metafore, tanto potenti nel loro linguaggio simbolico, possono anche far ripiombare nel buio se, invece di riuscire ad allontanarli grazie a riti apotropaici, permettono, con un linguaggio ambiguo, che quegli stessi mostri si moltiplichino.

Distanziati, mascherati, colpevolizzati, i bambini e i ragazzi, insieme a tutti gli anziani lasciati soli negli ospedali, sono stati le vittime più sofferenti della paura covid degli ultimi due anni.

Ciò che il virus non ha fatto, lo ha causato la narrazione del terrore che ha trovato nei bambini e nei ragazzi un formidabile capro espiatorio. Per salvare i nonni, è stato infatti detto loro che bisognava che prestassero molta attenzione a non infettarsi. E se poi un nonno si ammalava davvero e moriva, come accade da che mondo è mondo? Cosa sarebbe accaduto? Il bambino avrebbe portato sulle spalle il peso di una colpa che non aveva. Strano che gli adulti non abbiano pensato che i traumi, che i bambini sembra che superino bene da piccoli (non a caso sono stati chiamati troppo spesso piccoli eroi), possono tornare in modo molto violento nei primi anni dell’adolescenza, come i terribili suicidi e le crisi psichiatriche moltiplicate negli ultimi mesi testimoniano.

Tornando alla bellezza luminosa delle storie e al loro potere taumaturgico, desidero segnalare “Drommi vince la paura”. Illustrato da Emanuela Bussolati e inserito nella collana “Storie al Quadrato” di Carthusia, diretta da Patrizia Zerbi. Si tratta di uno dei tanti albi della stessa casa editrice, che ho avuto la fortuna di scrivere. Albi con animali protagonisti che affrontano argomenti dolorosi in chiave metaforica, senza mai nominare in modo realistico il problema di cui si parla.

Scritto come gli altri, dopo intensi ‘focus group’ a cui vengono invitati bambini, genitori, psicologi e medici, “Drommi vince la paura” racconta il lockdown e il timore per il virus invisibile, ambientando il racconto nel deserto, “in una bella oasi verde, circondata da dune di sabbia rossa, dove, quando soffia il vento celeste, le dune sembrano mezzelune o stelle… Ma un brutto giorno soffiò il vento grigio e un’ombra enorme oscurò il cielo…”

Inizia così la storia di Drommi, un piccolo dromedario, deciso ad affrontare quella Ombra Scura che ha allontanato i nonni e spaventato così tanto i suoi genitori. Grazie a una bella illuminazione che gli farà comprendere che a volte anche le Ombre Scure possono spaventarsi, Drommi allontanerà con forza d’animo, lealtà e formidabile coraggio la paura. “E torna a giocare con gli altri piccoli dromedari, con gli struzzi dal lungo collo e con le antilopi dalle belle corna, mentre soffia il vento celeste e l’oasi si riempie di voci liete.”

Non è un caso che la parola coraggio venga da “cor cordis”, cuore. E formidabile da “formido”, timore. E che il coraggio sia dato solo a chi, pur spaventato, non si tira indietro davanti alle prove immeritate della vita, così come ci hanno sempre insegnato le fiabe tradizionali, metafore potentissime, troppo spesso censurate dalla nostra riflessione lunare.

Attenzione quindi sempre, tornando alla realtà, alla potenza delle metafore, perché, se è vero che, in casi eccezionali, una mascherina può proteggere, portarla sempre, soprattutto a scuola, rischia di diventare un bavaglio che maschera parole, ispirazioni, emozioni, gioia, empatia, condivisione. Così come il saluto con il pugno può diventare solo una forma di lotta e il distanziamento una precauzione che invece di produrre salute, finisce per moltiplicare l’ansia, rischiando di far ammalare la mente prima del corpo.

Le storie al quadrato di Carthusia, piccole grandi psicomagie, che hanno toccato negli anni gli argomenti più delicati: dalla radioterapia alla violenza in famiglia, dai genitori in carcere alla neonatalità, dalla fibrosi cistica alle mamme con la sclerosi multipla, dalle malattie metaboliche alla leucemia e per ultimo al lockdown, sono quasi un esercizio di equilibrismo: chi è direttamente coinvolto riconosce infatti nella storia il suo percorso, chi non lo è riconosce nel protagonista il coraggio necessario per affrontare i formidabili mostri che popolano la sua immaginazione.

Questo il motivo per cui gli stessi libri, dopo il primo percorso privilegiato, corredato da un apposito pieghevole, trovano spazio sugli scaffali delle librerie, senza che nessuno, a meno che non ne riconosca il logo sulla quarta di copertina, possa dire quali siano state le motivazioni, nascoste dalle luminose metafore, che hanno portato a scriverli.

http://www.emanuelanava.it/

17marzo2022