Di Lorenzo Morri, professore e promotore del Presidio primaverile per una Scuola a scuola
Intervento apparso sul “speaker corner” del Il Fatto Quotidiano

La logica della guerra
Fin dall’inizio, Sars-cov-2 è stato narrato con la retorica delle passioni ben più che con il linguaggio descrittivo delle scienze naturali. Al prevedibile sensazionalismo del discorso mediatico, orientato a rilanciare ansie e paure collettive, ha fatto seguito un discorso politico ‘a tinte forti’. Dalle conferenze-stampa ministeriali sono uscite subito, quasi a ricordo dei bollettini degli stati maggiori d’altri tempi, notizie di “battaglie”, “prime linee”, “fronti”, “campagne” ecc., accanto al conteggio giornaliero delle perdite subite. Netta è stata quindi nell’opinione pubblica la percezione di trovarsi davanti a un nemico, da affrontare e sconfiggere collettivamente; un nemico invisibile ma dotato di una chiara identità, rispetto alla quale, per una volta finalmente, non potevano esserci incertezze di schieramento e divisioni ideologiche. Le classi dirigenti hanno così perseguito con risolutezza la strada della “dichiarazione di guerra” e della “corsa alle armi”. Armi improvvisate: mascherine, acqua, sapone, disinfettanti. Poi le armi frutto della più sofisticata ricerca medica e biotecnologica: i vaccini.
Dal momento in cui questi ultimi sono diventati disponibili alla fine del 2020, si è potuto ritenere che le sorti del conflitto non fossero perdute. Nel corso del 2021 la conduzione della campagna vaccinale di massa ha creato uno scudo per le consistenti fette di popolazione “fragile” del vecchio Occidente. In nome di questa causa persino la popolazione più giovane e sana è stata oggi chiamata in trincea a dare il suo contributo.
Tuttavia sul terreno della diffusione del contagio la guerra non è stata vinta. Dopo una ritirata strategica estiva, in autunno il virus ha riorganizzato le sue truppe, si è mascherato, assumendo un’identità parzialmente nuova, e ha ripreso a penetrare le barriere difensive. A questo punto hanno cominciato a manifestarsi le conseguenze sociali che la logica della guerra contiene in sé e che si verificano regolarmente – la storia lo insegna con abbondanza – quando la vittoria non arrida in modo abbastanza rapido.
Se la vittoria non giunge ancora, c’è una risposta infallibile: “qualcuno, dietro le linee, come una serpe in seno, sta sabotando lo sforzo bellico”. Ogni guerra ha avuto sempre i suoi imboscati, disertori, agenti provocatori, spie, quinte colonne interne, traditori. Quella della “pugnalata alla schiena” non è una turba psichiatrica germinata tra i disadattati hitleriani reduci dalla Grande guerra, ma una fissazione sempre esistita. Perché è necessaria a spiegare in modo semplice ciò che è complesso, come la sconfitta di una grande potenza, o a spiegare “in un qualche modo” ciò che è difficilmente spiegabile, come il ritmo di propagazione nella specie umana di un virus proveniente dal residuale spazio selvatico del pianeta.
Eccoci quindi alla psicologia dello stato d’assedio, l’incubo di ogni società che il protrarsi della guerra fa ammalare e corrode via via nel suo tessuto morale. Il XXI secolo sembra non fare eccezione. È di nuovo aperta la caccia al “nemico interno”, al colpevole. Il dispositivo antropologico di ogni società arcaica, ma anche di una società moderna che, sottoposta a un’inaspettata minaccia di morte da parte di una forza naturale incontrollabile, esperisca di nuovo – e con tanto più sconcerto quanto più si pensava dominante – il terrore dell’ignoto e dell’impotenza.
Se neppure ciò che dopo la “morte di Dio” abbiamo elevato a nuovo dio contemporaneo, la Tecno-Scienza, è in grado di garantirci salvezza, non può non esserci un colpevole. E questa volta trovarlo è facilissimo. In Italia, su 60 milioni di abitanti, se ne contano circa 6 milioni: il dieci per cento di coloro che incontriamo tutti i giorni per strada è ‘oggettivamente’ colpevole di intelligenza col nemico, perché ha disertato, rifiutando di imbracciare l’arma del vaccino. Anzi al nemico virale apre le porte di casa, lo accoglie dentro il proprio corpo e gli permette di rifocillarsi e rinvigorirsi, proprio mentre il restante 90 per cento fa di tutto per ucciderlo.
La logica della guerra civile
Questa diserzione indigna. L’individuo che non imbraccia l’arma e si sottrae alla difesa della patria comune disconosce il valore civico più alto: la solidarietà. In tal senso, egli non appartiene più propriamente alla patria comune, è uno straniero. È qui in azione la logica della guerra civile: il mio concittadino è diventato uno straniero. Sia bandito dalla città.
Ma poiché questa è la guerra contro un microorganismo globale, non ci sono altre città verso cui i traditori siano esiliabili. Essi si sono resi stranieri all’intero genere umano. Scegliendo di allearsi con chi ne minaccia l’esistenza, si sono ribellati all’umanità. Si sono fatti alieni, ‘oggettivamente’ nemici dell’umanità. Per loro non c’è posto.
Il fenomeno della disumanizzazione del nemico in guerra è ampiamente noto. Anche nella “guerra giusta” ciò che dà la forza di uccidere è la scoloritura dei tratti umani nel volto del nemico che si fronteggia. La guerra al virus del XXI secolo non fa eccezioni. Ecco quindi che le persone non vaccinate vengono narrate come prive delle normali qualità umane.
1) Non hanno un nome, ma è una sigla a identificarle: “no-vax” (e le affini “no-pass”, “no-mask”).
2) Nelle riprese video delle loro manifestazioni compaiono in piccola folla anonima.
3) In televisione e sui giornali non hanno identità individuale, se non nei casi in cui l’estremismo del comportamento (violenza verbale o fisica), o viceversa il pentimento e l’abiura, solitamente frutto del transito espiatorio in terapia intensiva, servano a metterne in luce l’instabilità mentale di prima e la recuperata salute mentale di adesso.
4) Nei discorsi di strada si sente sempre più spesso affermare che non andrebbero curati, ma lasciati morire.
5) Nei discorsi di strada (e non) si è sentito paragonarli ad animali, per esempio a “topi”, che meritano di essere rinchiusi in gabbia – in ogni caso è il loro evidente egoismo, la loro asocialità, che li predispone all’isolamento, al confinamento sociale.
Le armi ausiliarie della lotta al virus, il “green pass” e il “green pass rafforzato”, stanno dando corpo sul piano giuridico alle conseguenze morali dello schema logico della guerra civile. Così come l’idea di un “lockdown dei no-vax”, già messa in pratica in Austria e prossima ad esserlo in Germania e magari in Italia, sta traducendo in realtà un sistema differenziato di diritti che si basa sulla categorizzazione.
Nulla di nuovo sotto il sole, certo, ma è abbastanza stupefacente osservare come le tragedie del XX secolo, che credevamo aver prodotto anticorpi definitivi contro la malattia della disumanizzazione, non abbiano in effetti conferito alle democrazie nessuna immunità permanente. Poste sotto stress, le democrazie sbandano. E se può sembrare esagerato sostenere che gli strumenti giuridici adottati per attuare le scelte della guerra sanitaria ricordino le discriminazioni, dissimilazioni e persecuzioni razziali di ottanta-novant’anni fa, il lessico del discorso pubblico prevalente è una cartina di tornasole che desta allarme. Può dirsi infatti ancora pienamente democratico un paese in cui le singole persone non vaccinate diventino, anche giuridicamente, un’entità sociale? E in cui i leader politici, alla ricerca della sintonia con gli umori della maggioranza (il 90 per cento), invochino la reclusione della minoranza (10 per cento)? E a questa si guardi come a un’entità (popolo, classe, razza, si diceva un tempo) variamente denominata come a-sociale, incivile, parassitaria, incurabile, irredimibile, secondo un immaginario attributivo che risveglia tristissimi ricordi?
La logica della guerra civile di religione
Nell’Europea moderna la guerra civile si è manifestata innanzitutto come guerra civile di religione. Questa sua caratteristica, riassumibile nella reciproca demonizzazione dei contendenti, si è mantenuta sotto mutate spoglie anche nelle laicizzate guerre civili novecentesche (tra “rossi” e “bianchi” in Russia dopo il 1917, tra repubblicani e franchisti in Spagna, tra partigiani e fascisti in Italia, in Grecia, in Yugoslavia ecc.). Forse sorprendentemente (o forse no), le categorie religiose della Verità, della Giustizia, della Fede, di Dio e del Diavolo, con le loro figure d’accompagnamento (anatema, scomunica, perversione, conversione ecc.), sembrano utili a interpretare anche la presente guerra civile, strisciante in seno alla guerra al virus.
Alcune delle persone non vaccinate, in particolare quelle contrarie all’uso dei vaccini ancor prima dell’avvento della pandemia, si riunivano già in associazioni o gruppi informali su internet, nei quali l’opposizione all’obbligo era diventata una causa per cui battersi: l’ideale intorno a cui strutturare la propria visione del mondo e spesso la propria quotidianità, in lotta contro gli interessi economici del big business farmaceutico e dei governi collusi. La radicalità di alcune di queste tendenze, pronte a una resistenza all’ultimo sangue, ha condotto a preferire la fuoriuscita dei bambini dai percorsi scolastici pubblici e il ricorso all’istruzione parentale. Questi esiti richiamano da vicino aspetti classici del settarismo e dell’esperienza religiosa del martirio.
Se vi erano già da prima, quindi, frange di popolazione ostili ai vaccini e propense a un’auto-interpretazione della propria vita sotto categorie religiose (comunità, purezza ideale, testimonianza), per le quali le politiche vaccinali mondiali sono manifestazioni mondane di tipo demoniaco a cui contrapporre la purezza morale dei compagni/fratelli, l’odierna guerra al virus non ha diminuito, ma accentuato il fenomeno, allargandolo sul piano quantitativo. Dileggiate dai media e messe al bando dalle scelte politiche su “green pass”, “green pass rafforzato” e “obbligo vaccinale”, le persone che non intendono vaccinarsi hanno trovato nel governo un avversario che ha scelto di parlare, seppur dall’altro lato della barricata, il loro stesso linguaggio, secondo la logica della guerra civile di religione. In virtù della guerra al virus, infatti, il governo ha preso le sembianze di una Chiesa di Stato, di cui la Tecno-Scienza (dotata di una sola voce) è il nuovo sacerdote e il vaccino è il dogma, negando la verità e sacralità del quale si diviene automaticamente degli scomunicati. Le persone che rifiutano il dogma della Chiesa di Stato si sentono quindi legittimate a separarsi e a dar corpo a gruppi, sette, congreghe non-conformiste. Chi conosce un po’ la storia dell’Europa del ’500-’600 può leggere gli eventi contemporanei come un libro già scritto. I processi allora macroscopici e graduati su una scala di intensità che andava dalla rivendicazione pubblica e pacifica della libertà di culto all’ingresso in clandestinità, fino all’emigrazione o alla lotta violenta per l’affermazione della “vera fede” contro l’Anticristo – quegli stessi processi sono di nuovo in atto, benché ancora in modo microscopico.
Le persone non vaccinate hanno cominciato a costruire strategie di esistenza nascosta. Sul lavoro, si dotano di false certificazioni verdi, oppure presentano falsi certificati di malattia attraverso medici compiacenti, prendono “aspettative” più o meno veritiere, o magari vanno incontro a viso aperto alla “sospensione” prevista dalle norme. Quanto alla scuola, ritirano i figli e provvedono con l’istruzione parentale, oppure costituiscono scuole familiari clandestine, in luoghi urbani poco visibili, o in spazi extra-urbani, rurali o montani, dove sperano di sfuggire ai controlli delle autorità. Taluni, sentendosi braccati dallo Stato e rifiutati persino dalle cerchie amicali di prima, progettano (e talora realizzano) di partire, lasciare il paese, per approdare verso lidi europei più tolleranti. C’è anche chi – per ora molto pochi, ma gustosamente messi in luce dai media – fa proselitismo a favore di atti intimidatori e violenti contro il nemico, in quella che, per il momento, è la pantomima della lotta armata rivoluzionaria nell’epoca di Internet e Telegram.
Fuori dalla guerra
Esiste uno spazio per chi voglia restare fuori della logica della guerra?
In guerra la scelta di campo è considerata ineluttabile. Non c’è tempo per il dubbio, perché il morale dei soldati ne sarebbe minato e le operazioni rallentate. Non è ammissibile l’esercizio della critica, perché la risolutezza necessaria all’azione ne uscirebbe indebolita. In guerra occorre posizionarsi e poi muoversi, velocemente. La direzione verso cui ci si muove è d’importanza secondaria, perché ciò che conta è persuadere sé e la propria parte che si sta facendo, in fretta, tutto ciò che è necessario per vincere. Così, in guerra, poiché il fine giustifica sempre i mezzi, si è esposti all’annullamento di ciò che ci qualifica in essenza come esseri umani: l’attitudine a pensare, a porsi e a porre domande, a mettersi nei panni altrui, a comprendere le ragioni dei propri simili/diversi. La guerra è la vera malattia degenerativa degli esseri umani.
Esiste uno spazio in cui situarsi per proteggersene? Uno spazio da cui denunciare i guasti morali che produce? Voglio credere di sì. E grava su ciascuno il compito di cercarlo, lavorando affinché diventi di giorno in giorno più vasto ed abitato.
https://www.ilfattoquotidiano.it/…/covid-basta…/6455744/
12 febbraio 2022