Dal Tribunale di Padova alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea

di Elena Dragagna, Avvocato

Il Tribunale di Padova, sezione Lavoro, con una recentissima ordinanza ha adito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ponendo alla stessa una serie di quesiti, ritenuti rilevanti e preliminari alla decisione del caso concreto sottoposto al suo esame. Nello specifico, si trattava dell’impugnazione, da parte di un’infermiera, del provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa disposto dall’ASL, motivato dal fatto che la ricorrente non si era sottoposta al vaccino anti covid-19, obbligatorio in Italia per, tra gli altri, i lavoratori in ambito sanitario. I quesiti proposti attengono a vari profili relativi alla legittimità, alla luce della normativa europea, delle norme italiane sull’obbligo vaccinale del personale sanitario.***Con ordinanza del 7 dicembre 2021, il Giudice del Lavoro del Tribunale di Padova, Dott. Roberto Beghini, in un procedimento promosso da un’infermiera dell’Azienda Ospedaliera di Padova, sospesa dal lavoro e senza retribuzione dal 16 settembre scorso per non essersi sottoposta a vaccinazione anti covid-19, ha rinviato gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sottoponendo alla stessa diverse questioni.Si precisa che la ricorrente si era rivolta al Tribunale con ricorso d’urgenza, dando atto di non disporre di altri redditi da lavoro e di non potere comunque svolgere altrove la propria professione sanitaria, in ogni caso preclusa a causa della sospensione dall’Albo professionale decisa dal relativo Ordine professionale in quanto non vaccinata.Il Giudice evidenzia come la ricorrente, a sostegno del ricorso proposto, abbia invocato “molteplici argomenti” sia in fatto sia in diritto.

Dal punto di vista giuridico, in particolare, gli argomenti proposti dalla ricorrente erano tesi a dimostrare il contrasto dell’obbligo vaccinale imposto in Italia ai sanitari rispetto sia a norme “di diritto costituzionale che europeo (convenzionale – leggasi CEDU – e unionale in senso proprio)”.Oltre alle questioni strettamente di diritto, la ricorrente aveva fatto presente quanto al profilo del fatto di avere contratto il covid-19 e di esserne guarita, con conseguente effetto di “immunizzazione naturale”- questione anch’essa, come vedremo, ritenuta rilevante dal Giudice e sottoposta alla Corte di Giustizia.Il Giudice del Lavoro di Padova, dunque, ritenendo le varie questioni sottopostegli ovvero rilevate d’ufficio rilevanti e preliminari rispetto alla decisione del contenzioso in oggetto, ha investito la Corte di Giustizia di diversi profili attinenti al possibile contrasto delle norme italiane sull’obbligo vaccinale dei sanitari rispetto al diritto dell’Unione Europea.

Come si evince dalla prima questione rimessa alla Corte, il Giudice ha chiesto se “le autorizzazioni condizionate della Commissione, emesse su parere favorevole dell’EMA, relative ai vaccini oggi in commercio, possano essere considerate ancora valide, ai sensi dell’art. 4 del Reg. n. 507/2006, alla luce del fatto che, in più Stati membri (ad esempio in Italia, approvazione AIFA del protocollo di cura con anticorpi monoclonali e/o antivirali), sono state approvare cure alternative al COVID SARS 2 efficaci e in thesi meno pericolose per la salute della persona, e ciò anche alla luce degli artt. 3 e 35 della Carta di Nizza”.In sostanza, nel porre tale questione alla Corte di Giustizia, il Giudice chiede alla stessa se possa ritenersi ancora valida l’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio degli attuali vaccini anti covid-19, considerando il fatto che risultano ad oggi disponibili ed autorizzate cure alternative ai vaccini, ed essendo previsto dall’art. 14-a del Regolamento 2004/726/EU (richiamato dal Regolamento 507/2006 citato dal Giudice), su cui si basa il provvedimento EMA, che presupposto per l’autorizzazione siano “bisogni medici non soddisfatti”, e anche alla luce della normativa della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), di cui in particolare il Giudice cita l’art. 3 e l’art. 35. Il primo articolo sancisce il diritto all’integrità fisica e psichica di ogni individuo e la necessità di rispetto, tra le altre cose, del consenso libero e informato della persona interessata in caso di trattamenti sanitari. L’art. 35 riconosce il diritto di ogni individuo “di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali”.

La seconda questione sottoposta dal Giudice alla Corte riguarda la possibilità di derogare alla vaccinazione obbligatoria, imposta dalla legislazione italiana, per quei sanitari che “siano già stati contagiati e quindi abbiano già raggiunto una immunizzazione naturale”.Come terza questione, il Giudice chiede alla Corte di Giustizia se “in considerazione della condizionalità dell’autorizzazione” all’immissione in commercio dei vaccini anti covid-19 “ i sanitari medesimi possano opporsi all’inoculazione, quanto meno fintantoché l’autorità sanitaria deputata abbia escluso in concreto, e con ragionevole sicurezza, da un lato, che non vi siano controindicazioni in tal senso, dall’altro, che i benefici che ne derivano siano superiori a quelli derivanti da altri farmaci oggi a disposizione”. L’art. 14a del Regolamento Ue 726 infatti prevede che, anche qualora vi siano altri metodi soddisfacenti di cura, la commercializzazione del prodotto sia ammissibile ove esso comporti “un vantaggio terapeutico maggiore (rispetto a altre cure) per coloro ai quali viene somministrato”.Il Giudice richiama ancora al riguardo la Carta di Nizza, chiedendo alla Corte di chiarire “se in tal caso, le autorità sanitarie deputate debbano procedere nel rispetto dell’art. 41 della Carta di Nizza”, norma che sancisce il diritto di ogni individuo ad una “buona amministrazione” precisamente al fatto che “Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione …” e in particolare ha diritto “di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”, ha diritto “di accedere al fascicolo che lo riguarda”, mentre l’amministrazione ha l’obbligo di motivare le proprie decisioni.Le ultime quattro questioni sottoposte alla Corte, pur essendo differenti tra loro, hanno in comune due profili, precisamente il principio di proporzionalità e quello di non discriminazione, anche con riferimento a quanto sancito dal Regolamento europeo n. 953/2021. Tale Regolamento, come si legge nell’ordinanza, non è stato richiamato dalla ricorrente nelle sue difese, ma il Giudice lo ritiene rilevante e direttamente applicabile anche d’ufficio, poiché, secondo la giurisprudenza, “ogni giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi nell’ambito delle proprie competenze, ha, in quanto organo di uno Stato membro … l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria ad una disposizione del diritto dell’Unione, che abbia effetto diretto nella controversia di cui è investito”.Il Giudice sottolinea come nel Regolamento stesso, che contiene in generale disposizioni “per il rilascio, la verifica e l’accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell’UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19” si precisi che “è necessario che tali limitazioni (ndr: alla libera circolazione delle persone) siano applicate conformemente ai principi generali del diritto dell’Unione, segnatamente la proporzionalità e la non discriminazione”.In particolare e alla luce del principio di proporzionalità, come quarto quesito il Giudice sottopone alla Corte la seguente questione: “Dica la Corte di giustizia se, nel caso del vaccino autorizzato dalla Commissione in forma condizionata, l’eventuale non assoggettamento al medesimo da parte del personale medico sanitario nei cui confronti la legge dello Stato impone obbligatoriamente il vaccino, possa comportare automaticamente la sospensione dal posto di lavoro senza retribuzione o se si debba prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità”.Il quinto quesito attiene alla possibilità di adibire il lavoratore non vaccinato ad attività alternative – misura che integra un principio di bilanciamento e gradualità (e che tuttavia non è più prevista con le modifiche introdotte dal d.l. n. 122 del 10 settembre 2021) – e di valutare tale possibilità in contraddittorio con lo stesso; in particolare, il Giudice chiede alla Corte di Giustizia di dire “se laddove il diritto nazionale consenta forme di dépeçage, la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore, debba avvenire nel rispetto del contraddittorio ai sensi e agli effetti dell’art. 41 della Carta di Nizza, con conseguente diritto al risarcimento del danno nel caso in cui ciò non sia avvenuto”.

La sesta questione (si precisa che non la si trova riportata nelle conclusioni dell’ordinanza che, evidentemente per errore materiale, riporta sia al punto 6 sia al punto 7 il medesimo quesito – che è il prossimo che andremo ad analizzare – ma che essa è contenuta alle pagine 9 e 10 dell’atto) solleva dubbi sul rispetto del principio di non discriminazione. Essa riguarda la compatibilità della normativa italiana – precisamente dell’art. 4, comma 11, del d.l. 44/2021 “che consente al personale sanitario che è stato dichiarato esente dall’obbligo di vaccinazione di esercitare la propria attività a contatto con il paziente, ancorché rispettando i presidi di sicurezza imposti dalla legislazione vigente, mentre il sanitario che come la ricorrente, in quanto naturalmente immune a seguito di contagio, non voglia sottoporsi al vaccino senza approfondite indagini mediche, viene automaticamente sospeso da qualunque atto professionale e senza remunerazione”, rispetto al Regolamento n.953/21 “che vieta qualunque discriminazione tra chi ha assunto il vaccino e chi non ha voluto o potuto per ragioni mediche assumerlo”. In sostanza, come si legge nell’ordinanza, “mentre il sanitario (medico o infermiere che sia) che non possa, per una qualsiasi ragione, essere assoggettato al vaccino, può continuare a praticare la professione, sia pure nel rispetto delle regole di sicurezza, chi non vuole assoggettarsi al vaccino non può esercitare l’attività professionale sanitaria, sia come dipendente sia come libero professionista, nonostante sia disposto a seguire rigorosamente le stesse regole di sicurezza” e il Giudice si chiede se questo diverso trattamento, applicato a persone che si trovano nelle medesime condizioni, pur se per motivazioni diverse, non sia in contrasto con il Regolamento europeo citato che vieta, appunto, forme di discriminazione tra chi si è vaccinato e chi non si è vaccinato, indipendentemente dal fatto che la decisione di non vaccinarsi sia frutto di una libera scelta o dipenda da ragioni mediche.Infine, la settima questione (come sopra precisato, nelle conclusioni dell’ordinanza erroneamente riportata sia al punto 6 sia al punto 7) riguarda la legittimità dell’applicazione della normativa sul vaccino obbligatorio per i sanitari “anche ad un sanitario di altro Stato membro dell’Unione presente in Italia per motivi professionali”; il quesito sottoposto alla Corte è il seguente: “Dica la Corte se sia compatibile con il Regolamento n. 953 del 2021 e i principi di proporzionalità e di non discriminazione ivi contenuti, la disciplina di uno Stato membro che imponga obbligatoriamente il vaccino anti-Covid – autorizzato in via condizionata dalla Commissione – a tutto il personale sanitario anche se proveniente da altro Stato membro e sia presente in Italia ai fini dell’esercizio della libera prestazione dei servizi e della libertà di stabilimento”.***Ebbene, i quesiti sottoposti dal Tribunale di Padova alla Corte di Giustizia sono diversi e di grande rilevanza per le questioni giuridiche ad essi sottese, capaci, tra l’altro, di “espandersi” anche ad altri settori, non solo quello sanitario, dove è attualmente prevista l’obbligatorietà del vaccino.Il Giudice dà atto nella stessa ordinanza di avere, con separata istanza, chiesto che “la presente domanda di pronunzia pregiudiziale venga decisa con procedimento accelerato”. Si spera dunque di avere una decisione della Corte di Giustizia il più possibile rapida al fine di dirimere dubbi giuridici e problematiche che, ad oggi, stanno coinvolgendo moltissimi cittadini italiani.

Bibliografia:- ordinanza emessa dal Giudice del Lavoro di Padova il 7/12/2021 nel procedimento R.G. 1953/2021;- Regolamento Europeo 2004/726/EU reperibile al link https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/…– Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza): https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf– Regolamento Europeo n.953 del 2021: https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2021/953/oj4365Persone raggiunte1198Interazioni-1,2x in mediaPunteggio di distribuzioneMetti in evidenza il post

19 dicembre 2021