Pavese che legge

Di Remo Bassini, scrittore e giornalista

(rb) Non è la prima volta che racconto la storia di Pavese che legge, in sala d’aspetto. Ne scrissi anni fa, sul blog che ho su Il Fatto e, anche, su qualche testata online. Ogni tanto la riscrivo: per ri-raccontarmela e rammentarmi, anche in questi tempi in cui si parla e si pensa solo a virus e vaccini, che la vita è fatta da molto altro.

Leggere, ma con una tale intensità di arrivare al punto di entrare dentro il libro e dimenticarsi di tutto. Pochi mesi prima di finire al confino, Cesare Pavese insegnò, come supplente, italiano e latino al Liceo Classico Lagrangia di Vercelli. Era l’anno scolastico 1933-34 e lui, di anni, ne aveva solo venticinque. Una vita da pendolare, la sua. Arrivava ogni mattino in treno, da Torino, insegnava, poi nel pomeriggio tornava in stazione, in attesa del treno che lo avrebbe riportato a casa.
Quell’anno scolastico è stato raccontato nel libro di Felice Pozzo (noto studioso di Emilio Salgari) “Pavese a Vercelli”. Sul giornale storico di Vercelli, La Sesia (fondato nel 1871), c’è, però, un’altra testimonianza. La scrisse Ferdinando Lo-Iacono, critico teatrale, ricco possidente terriero e che di Pavese fu alunno.
Provo a riportarla, fidandomi della mia memoria (il giornale infatti non è digitalizzato).

Un pomeriggio, il giovane insegnante che vive a Torino, dopo una giornata di lavoro, sta camminando verso la stazione, che dista dal Ginnasio dieci minuti a piedi, dove aspetterà il treno che lo ripoterà a casa. Sono dieci minuti piacevoli, perché si può passare davanti alla basilica romanica di Sant’Andrea, il più bel monumento di Vercelli, oppure, se non fa freddo, ci si può accomodare su una panca dei giardini a fumare una sigaretta.
Cesare Pavese, quel pomeriggio, come al solito arriva in stazione con anticipo e, come al solito, prende posto in sala d’aspetto, cercando di isolarsi così da leggere in santa pace e intensamente, anche.Tanto intensamente che non si accorge dell’arrivo del treno, che era il “suo treno”; quello che da Milano l’avrebbe portato a Torino, né si accorge di quello successivo, né di altri e, quel che è peggio, non si accorge dell’ultimo treno.Si risveglia dalla lettura quand’è ormai troppo tardi, racconterà il personale della ferrovia, stupito nel vedere che Pavese non si disperasse; che non cercasse un albergo, ipotizzarono, era dovuto alla leggerezza del suo portafogli.Comunque.Dormì tutta la notte su un sedile di legno della sala d’aspetto (che ora non c’è più) della stazione di Vercelli.Forse a leggere, o correggere temi, chissà.Di sicuro nessuno sa quale fosse il libro che catturò a tal punto il giovane, squattrinato professore, Cesare Pavese.

Nota redazionale.Segnaliamo che è appena uscito l’ultimo libro di Remo Bassini: “La suora” che presenterà presto a Torino e a Vercelli. È un giallo, ma parla anche di lockdown e ripropone un articolo che Bassini postò sul suo blog sul Fatto online:

https://www.ilfattoquotidiano.it/…/io-resto-a…/5763117/

Stralci dal suo blog:
“Dal 2006 a oggi ho pubblicato 14 libri. Per due volte, c’è stata una doppia uscita: nel 2006 e, appunto, quest’anno. Nel 2006 pensavo che sarebbe stato l’inizio di un percorso duro, ma denso di soddisfazioni. E’ stato solo duro, con poche soddisfazioni. E’ cambiata la mia percezione del mondo e anche il mio vivere il mondo, in poco tempo: Il Covid ha portato odio, il Covid mi ha fatto passare la voglia di scrivere. Poi magari tornerà, chissà.
Comunque, sulla mia pagina facebook ho scritto quanto segue:
La Suora, Golem edizioni.Dal 2 dicembre in libreria.
A dicembre, data da definire, presentazione al Circolo dei lettori,
Il 20 gennaio, ore 18, presentazione al Piccolo Studio, Vercelli.”

http://remobassini.com/https://it.m.wikipedia.org/wiki/Remo_Bassini