Di Gilda Ripamonti, giurista, Elena Dragagna, avvocato, Sara Gandini, epidemiologa

Il 6 agosto 2021 il Consiglio dei Ministri ha (col decreto legge n. 111/2021) dato il via ad una serie di norme finalizzate, nei suoi presupposti e scopi, alla riapertura della scuola (infanzia, primaria, secondaria, università) al 100 per cento – per le università “prioritariamente” – in presenza “sull’intero territorio Nazionale”. In particolare tra le misure minime di sicurezza (art. 1 comma 2) è previsto l’utilizzo delle mascherine, tranne che per i bambini di età inferiore ai sei anni, per i soggetti con particolari patologie o disabilità incompatibili con l’uso dei predetti dispositivi e per lo svolgimento delle attività sportive.
Da sottolineare che il decreto prevede la raccomandazione del mantenimento della distanza di sicurezza, e non l’obbligo; e, in ogni caso, esclude tale raccomandazione qualora la sede scolastica non possa assicurare la distanza di sicurezza per problemi strutturali.
La disposizione ha enorme rilevanza poiché impedisce che i dirigenti scolastici possano limitare la frequenza a scuola sulla sola base della mancanza del metro di distanziamento: data la priorità della scuola in presenza, la mancanza di interventi ampliativi delle superfici dedicate alla scuola (previsti negli scorsi due anni scolastici) non potrà quindi più privare i ragazzi della possibilità di frequentare.
Tale indicazione rispecchia del resto quanto il CTS, nel verbale n. 34 del 12 luglio 2021 ha espresso: si “raccomanda di mantenere il distanziamento interpersonale in posizione seduta” in quanto “la misura è prioritaria rispetto alla sicurezza” e “laddove non sia possibile mantenere il distanziamento fisico… resta fondamentale mantenere le altre misure non farmacologiche di prevenzione, ivi incluso l’obbligo di indossare nei locali chiusi mascherine di tipo chirurgico”.
Viene infine ribadita la norma del divieto di accesso nei locali scolastici ai soggetti con sintomatologia respiratoria o temperatura corporea superiore a 37,5°.
Mascherine, eccezioni e rischi per la privacy e l’inclusione.
Quanto indicato nel decreto legge 111 – che pone l’accento sul valore socio-comunitario della scuola e sull’importanza fondamentale degli aspetti psicologici relativi allo sviluppo armonico della popolazione studentesca – viene tuttavia ridimensionato per effetto di successive disposizioni contenute nel medesimo decreto.
All’art. 1 comma 3 si precisa infatti che “I protocolli e le linee guida possono disciplinare … la deroga alle disposizioni… per le classi composte da studenti che abbiano tutti completato il ciclo vaccinale o abbiano un certificato di guarigione in corso di validità”. Analoga disposizione è prevista per gli studenti universitari.
Con la precisazione che, ad oggi, non risultano ancora adottati “protocolli” o “linee guida” (regionali o nazionali) che vadano nella direzione sopra indicata, risulta evidente che queste disposizioni vanificano lo scopo di tutelare gli aspetti comunitari e sociali della scuola e i profili psicologici degli studenti.
Come potrebbe infatti sentirsi un piccolo gruppo di studenti (o addirittura un unico alunno) non vaccinato, additato come causa dell’utilizzo della mascherina per tutta la classe e quindi verosimilmente schiacciato dal senso di colpa o magari anche bullizzato?
E’ così che si favorisce lo spirito comunitario e sociale della scuola o non è forse vero, al contrario, che questo approccio è divisivo e discriminatorio?
Le critiche e polemiche verso queste disposizioni sono esplose soprattutto dopo le dichiarazioni del ministro Patrizio Bianchi che, nella conferenza stampa del 2 settembre scorso, nel richiamare le norme in questione, ha affermato: “Laddove vi siano delle classi con tutti vaccinati, possono togliere la mascherina e quindi si può tornare a sorridere assieme”.
Il sorriso torna solo nelle classi di completamente vaccinati, sembra suggerire?
Si noti che la norma del d.l. nulla prevede neppure per i soggetti esentati dalla vaccinazione per motivi sanitari, né ammette la possibilità che gli studenti non vaccinati possano ovviare a tale situazione per mezzo di un tampone negativo, come previsto per il Green Pass in tema di accesso a determinate attività e/o luoghi; in pratica, viene disposta la possibilità di togliere la mascherina solo per classi composte da studenti completamente vaccinati o guariti, con la necessità di raccogliere dati sanitari sensibili e in assenza di un obbligo vaccinale.
Tale previsione, come è evidente, induce una forte pressione alla vaccinazione verso gli studenti (snaturando quello che dovrebbe essere il consenso “libero e informato” richiesto dalla legge 219 del 2017), oltre a favorire situazioni di tensione che il legislatore avrebbe dovuto invece disincentivare, proprio nello spirito, almeno quello dichiarato, del d.l..
Il rischio di discriminazione ed emarginazione nei confronti di quegli alunni che non saranno, o non potranno essere, vaccinati non è affatto peregrino ed è infatti stato paventato da più parti, in particolare dall’ANP (Associazione Nazionale Presidi): anche qualora venissero adottate misure per non rendere pubblica la loro identità, una pressione esterna e sociale intesa a individuare chi impedisca alla classe di toglier le mascherine rappresenta una forma pericolosa di violenza psicologica specie in un’età in cui il giovane è particolarmente influenzabile e cerca il riconoscimento della comunità.
Senza contare che molte domande si pongono. Chi dovrebbe controllare lo stato vaccinale o di avvenuta guarigione da parte degli studenti? In base a che norma? Sicuramente si profilano diverse questioni attinenti alla tutela della privacy che dovranno essere oggetto di concertazione con il Garante della privacy, tenuto conto che per i ragazzi fino alla secondaria di secondo grado non è previsto l’obbligo di green pass per l’accesso a scuola e dunque il possesso di un QR code leggibile in modo anonimo. Resta una amara riflessione: ciò che potrebbe essere inteso come un beneficio – togliere la mascherina – diventa per come è stato definito uno strumento divisivo, che contraddice ogni idea di “scuola affettuosa”: isolare ed emarginare rappresentano i due prodromi delle logiche che portano verso il bullismo.
Green pass, studenti universitari e discriminazione.
Il decreto legge n. 111/2021 ha ulteriormente vanificato gli scopi enunciati nell’articolo 1 estendendo l’obbligo di green pass per le attività in presenza frequentabili dagli studenti universitari, con una norma che si profila come discriminatoria. Rivediamo i primi articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 che proclama che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti” e che “ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna” mentre il diritto – innato per ogni giovane – ad una scuola aperta a tutti, alle lezioni, agli esami, alla vita universitaria in presenza viene oggi subordinato a una certificazione covid, ed escluso quindi per gli studenti non vaccinati (che possono dotarsi di tamponi ogni 48 ore, certo, ma anche il tampone costituisce pur sempre un trattamento sanitario sul corpo, e comunque è servizio a pagamento). I vaccinati, senza alcuna verifica sulla loro eventuale (e possibile) positività possono accedere a determinati servizi, i non vaccinati no, assumendo che questi ultimi siano “contaminati” e come tali vadano esclusi.
Le misure restrittive stabilite tramite il green pass colpiscono – ovverossia distinguono con l’effetto di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, di diritti e libertà fondamentali (si veda a tal riguardo la definizione di discriminazione fatta nella Convenzione ONU di New York del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione) – una categoria di ragazzi che esercita una libertà garantita e che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria condizione e/o di una libera scelta, quella di vaccinarsi o non vaccinarsi. Questa libertà, come sappiamo, trova la sua fonte nell’articolo 32 c. 2 della Costituzione, che garantisce il diritto a non prestare il consenso ad un trattamento sanitario a meno che l’obbligo non sia previsto da una legge.
Si ricorda, sul piano generale, che previsioni aventi un carattere discriminatorio si pongono in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, in quanto ostacolano la pari dignità sociale dei cittadini e la loro eguaglianza di fronte alla legge, senza distinzione di condizioni personali e sociali. I profili discriminatori sono ancora più gravi nel momento in cui riguardano persone giovani, che hanno diritto ad un sereno e completo sviluppo, di cui lo Stato dovrebbe preoccuparsi (anche in ragione della loro particolare vulnerabilità).
Tale disposizione risulta anche contraddittoria rispetto alle sollecitazioni contenute in particolare nella Risoluzione del Consiglio d’Europa n.2361 del 27 gennaio 2021, che ha invitato esplicitamente gli Stati membri ad assicurare una scelta consapevole e libera in materia di vaccini, senza alcuna forma di discriminazione o svantaggio per coloro che decideranno di non sottoporsi al vaccino contro la Covid19, oltre che ai principi contenuti nei Regolamenti UE 953 e 954/2021 che, pur occupandosi dell’utilizzo del “certificato digitale Covid19” (così viene definito ufficialmente il pass europeo) per gli spostamenti tra i Paesi dell’Unione e non interni agli stessi, né per l’accesso ad attività e/o servizi, richiamano la precedente risoluzione e ribadiscono l’invito generale alla non discriminazione – in particolare al punto 11 del Regolamento 954, con riferimento al certificato digitale Covid19, si legge “Esso non dovrebbe essere inteso come un’agevolazione o un incentivo all’adozione di restrizioni alla libera circolazione o di restrizioni ad altri diritti fondamentali, in risposta alla pandemia di COVID-19”.
Un’ultima norma desta grande preoccupazione e sembra vanificare l’acquisita consapevolezza dell’importanza della scuola in presenza. Con l’art. 1.4 del decreto legge (“Fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza…”) viene demandato ancora una volta ai Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e addirittura ai Sindaci, in zona rossa o arancione, di derogare alla norma generale che prevede la scuola in presenza al 100 per cento.
In ipotesi, viene loro consentito pure di chiudere le scuole, dal momento che la norma neppure identifica e definisce una determinata e minima percentuale di scuola da fare obbligatoriamente in presenza, a differenza di quanto aveva stabilito il decreto legge del 22 aprile, che prevedeva la garanzia della frequenza almeno al 50 % anche in zona rossa su tutto il territorio nazionale e per tutti i cicli di scuola. Non occorre altro. A nostro avviso questo quarto comma è come un ordigno a tempo che occorre fin da subito iniziare a disinnescare.
La versione breve sul blog del Il Fatto Quotidiano
https://www.ilfattoquotidiano.it/…/rientro-a…/6320105
16 settembre 2021