Di Ilaria Baglivo, biologa

Testo letto e condiviso da Francesco Cecconi, Sara Gandini, Maria Luisa Iannuzzo, Maurizio Matteoli, Marilena Falcone, Clementina Sasso, Elena Dragagna, Erika Bianchi, Gilda Ripamonti, Maddalena Loy, Olga Milanese, Emilio Mordini, Remo Bassini, Luciana Apicella, Francesca Capelli
La positività al virus Sars-CoV-2 viene oggi rilevata con metodi diversi. Esistono tamponi antigenici che permettono di rilevare la presenza in un soggetto di pezzi di proteine appartenenti a Sars-CoV-2 (gli antigeni virali) [1] e tamponi molecolari che cercano invece la presenza di frammenti del materiale genetico del virus. I due metodi vengono ritenuti piuttosto affidabili con una sensibilità sovrapponibile nel caso di infezioni con alta carica virale, ma superiore per i tamponi molecolari nel caso di infezioni con bassa carica virale [2]. Questa grossa capacità di rilevare positività a Sars-CoV-2 con tampone molecolare anche in soggetti asintomatici sembra apparentemente un’arma formidabile per identificare tutti i soggetti infetti, ma nasconde enormi criticità che possono aver condizionato le scelte riguardanti le misure restrittive durante la pandemia e che potrebbero condizionare azioni future se e quando, in autunno, il virus tornerà a circolare.
Il tampone molecolare si effettua prelevando materiale biologico, essenzialmente cellule e muco, da naso e faringe di un soggetto. Da questo materiale, viene estratto l’RNA, una macromolecola che esiste nelle nostre cellule, ma che costituisce anche il genoma di Sars-CoV-2. L’RNA estratto viene convertito in DNA e specifiche sonde vengono utilizzate per amplificare pezzetti del genoma virale. Se l’RNA virale è presente nella estrazione, le sonde troveranno il genoma di Sars-CoV-2 e ne consentiranno l’amplificazione. Cosa vuol dire amplificazione? Mediante la metodica della Polymerase Chain Reaction (PCR) è possibile amplificare teoricamente un singolo frammento in miliardi di copie. Questo elevato numero di copie si ottiene mediante cicli di reazione che si susseguono. Il numero di cicli di reazione che vengono eseguiti, dunque, influenza fortemente la capacità di rilevare una determinata specifica molecola che, nel caso di Sars-CoV-2, corrisponde a pezzettini di genoma virale piuttosto corti.
Questo grande potere della PCR, se non correttamente utilizzato, diventa un’arma a doppio taglio: se da un lato ci fa sentire sicuri di poter identificare i soggetti positivi e di poterli isolare per evitare la diffusione del virus, dall’altro ci fa credere che tutti i soggetti positivi siano contagiosi, COSA ASSOLUTAMENTE ERRATA! La positività al tampone molecolare consente solo di affermare che il soggetto alberga tracce del genoma virale, ma NON PUÒ DETERMINARE LA CONTAGIOSITÀ DEL SOGGETTO POSITIVO. La contagiosità di un soggetto dipende da diversi fattori tra cui il tempo trascorso dal momento dell’infezione e la carica virale emessa dal soggetto. IL RISULTATO DELLA PCR NON FORNISCE ALCUNA INDICAZIONE RIGUARDANTE QUESTI FATTORI: la positività al tampone molecolare è rilevabile anche nel caso di soggetti perfettamente guariti e non più contagiosi da tempo. Infatti, a seguito di infezione e a guarigione ormai avvenuta, il genoma virale viene frammentato nelle nostre cellule e i frammenti prodotti possono impiegare mesi per essere completamente eliminati dal nostro organismo. Quando questi frammenti sono in via di eliminazione (ma il soggetto non è più contagioso e/o è persino guarito), la PCR, utilizzando specifiche sonde ed avendo la grande capacità di amplificazione descritta, ne rileva la presenza. Il soggetto viene dunque definito positivo, ma è ormai non contagioso e persino guarito dall’infezione.
Come si può ovviare a questa criticità ? Beh, senza presunzioni, un biologo molecolare abituato ad eseguire PCR sa che quando guarda il risultato di una amplificazione, sta osservando solo e soltanto la copia esponenziale di un frammento di genoma e che questo non dice assolutamente nulla sullo stato clinico e di contagiosità di un soggetto.
Alcuni dei kit usati per l’elaborazione dei tamponi nel “manuale di istruzioni” esplicitano che “LA SOLA POSITIVITÀ ALLA PCR NON È SUFFICIENTE PER DECRETARE UNA DIAGNOSI DI POSITIVITÀ A COVID-19, MA CHE IL RISULTATO DELLA POSITIVITÀ AL TEST MOLECOLARE DEVE ESSERE VALUTATO INSIEME AI SINTOMI DEL SOGGETTO”. Bene! Questo ci dice chiaramente che gli stessi produttori dei kit per i tamponi non sono propensi a definire come malati di COVID-19 i soggetti positivi alla PCR, ma che è necessaria un’analisi dei sintomi per definirli tali.
Gli stessi “manuali di istruzione” indicano il numero di cicli da effettuare per rilevare la positività. Alcuni kit ne indicano 34, ma si può arrivare ben oltre. Questo evidenzia due cose: 1) che non tutti i kit usati hanno la stessa sensibilità; 2) che quando si arriva sulla soglia massima di amplificazione (ciclo 34 o 40 a seconda dei kit), un soggetto può risultare positivo oppure no a seconda del kit usato per la elaborazione del tampone. Purtroppo, infatti, la tecnica dei tamponi molecolari non è mai stata standardizzata per i cicli di amplificazione, le sonde da usare e le precise regioni e targets del virus da amplificare.
Pare evidente, dunque, che la sola positività alla PCR non può essere il parametro da seguire soprattutto quando una larga parte dei soggetti positivi è del tutto asintomatica (fino al 50 %di soggetti asintomatici, seppure il numero esatto di tali soggetti è estremamente difficile da calcolare) [3-5]. Infatti, quando un soggetto viene definito positivo per COVID-19 solo sulla base della positività alla PCR, disattendiamo le chiare indicazioni date dai kit stessi che, se da un lato dicono di spingersi ad un alto numero di cicli di reazione al fine di rilevare anche positività in presenza di pochi frammenti di genoma virale (questo anche in ragione del fatto che l’RNA estratto non viene quantizzato e che pertanto non è possibile conoscere la quantità di “stampo” con cui si parte per l’amplificazione), dall’altro indicano che la malattia COVID-19 può essere diagnosticata solo se alla positività della PCR è associata una valutazione medica dei sintomi.
Le misure restrittive, però, e l’allarme dato in tutto questo periodo di pandemia si basano principalmente sul numero di soggetti positivi ai tamponi e, sulla base di quest’analisi ci pare evidente che il parametro deve essere cambiato come anche l’uso a cui sono destinati i tamponi.
La COVID-19 è una malattia oggi molto più nota che ad inizio pandemia ed esistono terapie, come gli anticorpi monoclonali, ma anche protocolli diversi di terapia, che hanno dimostrato di essere efficaci nella cura dei pazienti malati. La vaccinazione di massa che si è intrapresa sta riducendo il numero di soggetti infetti e speriamo farà vedere i suoi risultati in autunno e nei momenti di massima circolazione di Sars-CoV-2, soprattutto riducendo le forme gravi di malattia.
Ci pare sia arrivato il tempo di investire al massimo delle nostre possibilità nella campagna vaccinale, nell’approvvigionamento dei farmaci per la cura della COVID-19, nel potenziamento delle strutture sanitarie, e di restituire al tampone lo scopo per il quale è nato: COADIUVARE NELLA DIAGNOSI IN PRESENZA DI SINTOMI. Ci appare ormai inutile continuare a testare soggetti vaccinati senza alcun sintomo e con scarsa o nessuna probabilità di essere contagiosi; ci appare del tutto inutile continuare a testare soggetti asintomatici per screening quando, come detto in precedenza, la PCR non può indicare la contagiosità del soggetto. IL TAMPONE VA ESEGUITO SOLO IN PRESENZA DI SINTOMI CHE LASCINO SOSPETTARE UNA COVID-19 AL FINE DI CONFERMARE IL SOSPETTO DIAGNOSTICO. I soggetti asintomatici devono essere ritenuti sani e liberi di circolare senza alcuna restrizione. D’ALTRA PARTE, QUANDO UNA BUONA PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE SARÀ VACCINATA, LA PRATICA DI SCREENING E TRACCIAMENTO CI SEMBRA INUTILE E DISPENDIOSA, MENTRE APPARE ESTREMAMENTE UTILE UNA DIAGNOSI RAPIDA IN PRESENZA DI SINTOMI DOPO LA QUALE SARÀ POSSIBILE IMPOSTARE UN’ADEGUATA TERAPIA. Questo approccio è quello del CDC americano che di fatto ha eliminato il tracciamento per i vaccinati. Le raccomandazioni del CDC prevedono che qualora un individuo vaccinato venga a contatto con un positivo alla COVID-19, non debba andare in quarantena né debba sottoporsi a tampone, a meno che non sviluppi sintomi. Si tratta di un approccio razionale di salute pubblica, dettato dalla scienza, dalla rigorosa analisi degli ottimi dati di efficacia dei vaccini, dalla razionalità.
Quale potrà essere il parametro per seguire l’andamento della pandemia? Razionalmente, ci pare possa essere il numero degli ospedalizzati per COVID-19 (escludendo da questo computo gli ospedalizzati per altra causa, a patto che i paucisintomatici vengano curati dai medici di medicina generale).
Dopo il panico, il terrore, ci pare il momento di rimettere ordine e di trattare COVID-19 come una malattia infettiva ormai nota che prevede una PROFILASSI VACCINALE, una DIAGNOSI CON GLI OPPORTUNI STRUMENTI e una CURA, senza la necessità di rincorrere i soggetti positivi ad una PCR che, lo ribadiamo, non può e non deve essere usata per definire un soggetto contagioso o malato.
1. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8026170/
2. https://www.cochranelibrary.com/…/14651858…/full
3. https://www.thelancet.com/…/PIIS1473-3099(20…/fulltext
4. https://www.acpjournals.org/doi/10.7326/M20-3012
5. https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0249090
maggio 2021